Silvia Maserati – Intervista – Tesi di laurea – 2017

Una compositrice americana, Amy Beach (1867-1944), formatasi prevalentemente come autodidatta e facente parte della Seconda Scuola del New England, scrisse queste parole nei suoi “Music’s Ten Commandments as given for Young Composers” (1915):

“Remember that technique is valuable only as a means to an end. You must first have something to say – something which demands expression from the depths of your soul. If you feel deeply and know how to express what you feel, you make others feel.”

Queste affermazioni trovano riscontro nelle sue dichiarazioni (Personal position and aesthetics): quali ritiene possano essere le cause del progressivo deteriorarsi delle premesse etico-estetiche nella musica e, più in generale, nell’arte contemporanea?

Sono d’accordo con l’affermazione di Amy Beach che, da sempre, è stata alla base del mio pensiero musicale. Una cosa è certa: tutte le massime espressioni dell’arte, musicale e non sono state tali perché gli autori delle opere che oggi, anche a distanza di secoli consideriamo per la loro bellezza e unicità, avevano senz’altro qualcosa da dire. Alla base di tutte le forme d’arte c’è sempre stato l’apprendimento di un solido artigianato senza il quale non sarebbe mai stato possibile raggiungere gli alti livelli artistici che permettono all’uomo contemporaneo di riservare ammirazione e dalle quali poter trarre ispirazione.

Nella sua personale esperienza, ha trovato più discriminante il pregiudizio stilistico (la non appartenenza a correnti di Avanguardia o Post-Avanguardia) o quello di genere?

In tutti i generi la musica può essere di buona o cattiva qualità. Soltanto questa caratteristica dovrebbe essere determinante per esprimere un giudizio. La mia esperienza personale, comune a moltissimi colleghi compositori, ha sofferto certamente dell’intolleranza ideologica perpetrata dagli ambienti intellettuali che per decenni hanno governato il mondo della musica cosiddetta “colta”. L’ostracismo perpetrato nei confronti di validissimi musicisti “non allineati” alle correnti è vergognoso. La commistione con la politica ha poi avuto una imbarazzante responsabilità nel mettere al bando musiche di grandissimi compositori colpevoli soltanto di essere vissuti durante il fascismo. Basti pensare a Ottorino Respighi: migliaia di esecuzioni nel mondo e per decenni neanche una in Italia. Molti anni fa ebbi modo di leggere una pubblicazione della Ricordi nella quale erano elencate le esecuzioni dei compositori del proprio catalogo. Alla voce Respighi erano enumerate centinaia di esecuzioni in tutto il mondo, forse due o tre in Italia.

Ritiene che su questo punto la situazione italiana differisca, ad esempio, da quella europea o americana?

Certamente sì, perché oltre a quanto ho appena citato la situazione musicale italiana del dopoguerra si è aggravata a causa del progressivo disinteresse della classe dirigente nei confronti della Musica e dell’educazione musicale nel suo complesso. Inoltre, l’analfabetismo musicale si è infiltrato anche in quei luoghi deputati alla conservazione dell’arte musicale seminando approssimazione, cialtroneria e furbizia.

Sempre per quanto detto sopra i Conservatori per almeno un ventennio hanno sfornato diplomati in Composizione semi-analfabeti che inevitabilmente, una volta ottenuto un posto d’insegnamento, non potevano essere assolutamente in grado di insegnare le basi della Composizione: armonia, contrappunto, fuga e orchestrazione. Tutte nozioni considerate da alcuni irresponsabili roba vecchia da mettere in soffitta. Per anni nelle classi di Composizione molti studenti sono stati sottoposti alla pressione ideologica dei loro insegnanti. Le cause di questo disastro le conoscono tutti e i drammi scaturiti da tutto questo sono sotto gli occhi di tutti.

Ritiene che, dagli anni Settanta ad oggi, l’atteggiamento della critica e del pubblico nei confronti della produzione delle donne compositrici sia cambiato, e, se sì, per quali motivi e in che termini?

È cambiato per fortuna il mondo e con esso la considerazione della donna nel suo complesso. Della critica non ne parlo perché raramente è stata affidata a personaggi autorevoli, competenti e imparziali. Ha mai visto un critico disubbidire al suo editore?

Il pubblico invece, quello vero, nonostante sia facilmente influenzabile dai mass media, è sempre e comunque giudice affidabile e genuino. Se qualcosa piace te lo fa capire subito e non ha bisogno di essere messo preventivamente al corrente che quella sera eseguiranno la più grande composizione del secolo. Diciamo pure che il ruolo dei mass media in questo senso si è molto ridimensionato grazie al web, dove è facile farsi un parere in tempo reale di quanto accade ovunque nel mondo.

Ritiene che, tra le compositrici di ogni epoca e provenienza geografica, vi siano casi emblematici di talento misconosciuto?

Di sicuro, ma fortunatamente alcune case discografiche (ad esempio la Naxos) si sono preoccupate di far conoscere al pubblico un grande numero di valide colleghe che altrimenti sarebbero rimaste nell’oblìo più totale.

Ritiene che il riconoscimento del ruolo storico di alcune notevoli compositrici del passato e la conseguente esecuzione dei loro lavori possa essere un incentivo alla pratica della composizione per le nuove generazioni di donne?

Quando la riscoperta non è frutto di esclusivi interessi commerciali ben venga, altrimenti è meglio lasciar perdere. Certe operazioni che passavano per essere grandi scoperte si sono rivelate una solenne perdita di tempo. Se poi si desidera fare solo riscoperte storiografiche e museali bene, allora è tutt’altra cosa.

Come didatta, percepisce differenti peculiarità di approccio alla composizione da parte delle sue allieve rispetto ai suoi allievi?

Ho avuto eccellenti allievi e altrettanto eccellenti allieve. Direi che queste ultime hanno di sovente rivelato una maggior determinazione e volontà nel perseguire il loro scopo.

Dal momento che la buona didattica si fonda anche su doti di abnegazione e comunicazione del docente, ritiene che, in quanto donna, possa offrire ai suoi allievi un sostegno ed un’empatia maggiori rispetto ai colleghi uomini?

In questo senso uomini e donne possono avere le medesime caratteristiche, si tratta solo di predisposizione d’animo e passione. Insegnare, come altre attività molto particolari, richiede sacrificio, intuizione, pazienza e perseveranza. Oltre ad insegnare ciò che si sa, si insegna ciò che si è.

L’emarginazione esiste per il semplice fatto che a capo di tutte le istituzioni le donne sono pressoché assenti, e perdura soprattutto per un’antico problema sociale legato alla figura della donna nella società (moglie, madre e custode della casa). Se in società sotto quest’aspetto più emancipate – come quelle nord-europee – il problema è stato in buona parte superato, in un modello come quello mediterraneo siamo ancora lontani da una vera emancipazione. Pesanti fardelli storici tuttora lo impediscono.

Il limite di natura fisiologica è stato in gran parte superato sul versante esecutivo. Le donne sono da tempo parte integrante delle orchestre, e tantissime sono validi esempi al pari degli uomini. È ovvio che la natura femminile, diversa da quella maschile, riverserà nell’atto dell’esecuzione musicale quella differente sensibilità che le deriva da una diversa percezione della vita. L’artista deve avere l’animo libero dalla quotidianità – sovente imposta alla figura femminile – e una capacità di astrazione intuizione fantasia che richiedono tempo e concentrazione. Il talento femminile nelle Arti si è espresso scarsamente attraverso i secoli perché la percentuale di donne che vi si sono dedicate è stata irrisoria nei confronti di quella degli uomini, e dunque la possibilità che ci fosse un genio tra esse è stata pressoché nulla. Inoltre, per le compositrici è stato ancora peggio: nella musica c’è molta più tecnica da imparare che in qualsiasi altra Arte, e proprio per questo ci vuole una capacità maggiore di astrazione per la composizione, per far sì che non sia mera riproduzione o che non diventi un mero gioco di note fine a sé stesso, senza espressione artistica. L’astrazione fine a sé stessa.

Il motivo l’ho espresso sopra: i modelli storici e culturali perdurano e sono un’eredità difficile da eliminare, e di certo, fin quando la nostra società si baserà su rapporti immobili e fin quando non saranno abbattute molte barriere, la donna avrà molte difficoltà per affermarsi, non solo in campo artistico. La donna non ha potuto emergere nel passato, quindi non si può neanche parlare di percentuali. Nel XX secolo la figura della donna creativa è aumentata, ma rispetto ai compositori uomini la sua percentuale è ancora irrisoria.

Tutto ha senso quando s’inquadra in una riscoperta storica. Se però riscoprire autori e opere significa assegnare un valore “anonimo” e fine a sé stesso, allora sarebbe meglio tralasciare le opere di riscoperta. Tanti autori sono stati riportati alla luce negli ultimi decenni, ma pochissimi hanno destato un vero interesse da parte degli addetti ai lavori e da parte del pubblico. Quanto alle possibilità di essere rappresentati il discorso è lungo: ancora perdurano le appartenenze a gruppi specifici nell’ambito della composizione, solitamente impermeabili e autoreferenziali. Il modello è ancora quello del “Novecento”, sovente di tipo sperimentale e morto da un pezzo ma ancora saldo per interessi particolari e per una non accettazione di pensieri differenti, anche se non “innovativi”.

La situazione è sotto gli occhi di tutti: un declino rapido per la mancanza totale di un’istruzione musicale di base (fondamentale nell’infanzia), come di tante altre attività formative necessarie alla crescita dell’individuo. La nostra classe dirigente – di qualsiasi appartenenza politica – è totalmente ignorante in questioni musicali, è sorda e impenetrabile. Ci vorrebbe una vera rivoluzione culturale, ma come intraprenderla nessuno lo sa. Troppi i modelli devianti e lontani da quella sensibilità necessaria per avvicinarsi all’arte musicale. Quanto alle possibilità riservate ai nostri giovani compositori, direi che oggi farsi conoscere internazionalmente è più facile che nel passato. Le facilità nei contatti e le possibilità di viaggiare a basso costo per frequentare questa o quella scuola – o il singolo docente – trent’anni fa erano riservate soltanto a una élite. Almeno sotto quest’aspetto oggi non è così.

L’Italia è la nazione dei corsi e dei concorsi, per tutti i livelli e per tutte le tasche. Esiste un’educazione di livello medio, esattamente come alle università. Tutti le frequentano, pochi si laureano bene e pochissimi intraprendono un’attività desiderata, capace di regalare soddisfazioni. Direi che manca una vera formazione di base e una di perfezionamento superiore di respiro internazionale, slegata dai soliti ambienti e dalle solite scuole che da decenni monopolizzano la cultura italiana.